1 | Storia del mago Doppio

A otto anni, Nino improvvisava al piano e armonizzava naturalmente, quasi i tasti si presentassero sotto le sue dita tutti intonati e giusti. Il suo papà nel vedermi in ascolto a bocca aperta, mi chiedeva dubbioso: “Credi davvero abbia talento o è un illusione che ci facciamo noi come succede di solito ai genitori?” (…)
— Ernesta Rota Rinaldi, Storia di Nino, dai Diari, manoscritto autografo, 1942. Venezia, Fondazione Giorgio Cini, Fondo Nino Rota.
Il suo gioco preferito consisteva nello scrivere giù note su fogli di carta da musica trovati qua e là. Si metteva carponi sul tappeto la testa all’ingiù e munito di un matitone Presbitero tracciava una nota sull’altra a piramide facendo grandi accordi lati. Poi saltava al piano col suo boccone di carta sul leggio, e provava, aggiustando tutte le sue dieci dita sui tasti, se l’accordo corrispondeva nel suono. Tutti i giorni, ogni suo momento di ricreazione lo dedicava a questo gioco appassionante. Gli piacevano le sonorità gravi, basse, gli accordi di molte note, i ritmi larghi a base di brevi e semibrevi, infine, le prime figurazioni ritmiche imparate. Scritti i bassi veniva la volta delle voci alte, in chiave di violino, cioè la melodia, il canto. Giorno per giorno da questa applicazione è venuto fuori il Mago doppio a quattro mani. Commento a una favoletta in cinque titoli, che nell’intenzione di Nino doveva essere per lo meno un poema del tipo di Dante, espressa musicalmente in altrettanti pezzetti. Notone grosse come cimici e chiare e distanziate, tendenti all’insù, a caratteri estremamente infantili; più infantili ancora dei 9 anni dell’autore. Il tutto perfettamente leggibile e con senso logico della frase. Io e la zia Ita ci avvicendavamo al piano a decifrare tra noi la Suite del mago Doppio oppure accompagnavamo Nino che teneva il basso con gravità suonando d’in piedi.

Il racconto del piccolo Nino si sviluppa nel manoscritto (fig. 4) in più capitoli, o ‘storie’, preceduti da una Prefazione che introduce personaggi e luogo dell’azione:
Il mago Doppio è illustre nel mondo dei maghi. Ha due teste, due bocche, due nasi, quattro occhi, quattro corpi, quattro mani con braccia e quattro gambe con piedi. Ha per moglie la fata Giglia.1 La fata Giglia, essendo moglie del mago Doppio, è celebre nel mondo delle fate. Il mago e la fata hanno una villa la quale è la loro abitazione. In questa villa ci sono tre mosche; le mosche non sanno come liberarsi dal fastidio del mago e il mago non sa come levarsi la noia di queste mosche. Questa storia ve la racconta un personaggio che seppe il fatto.

Delle tre ‘storie’ – Un’avventura del mago Doppio e delle tre mosche, Ciò che accadde alla fata Giglia nel percorso della strada, I sogni delle tre mosche – che compongono una prima parte, completa, l’ultima accoglie una fuggevole apparizione della musica, laddove la seconda mosca “sognò che si trovava a un concerto orchestrale del conservatorio”, durante il quale il direttore d’orchestra, che “dirigeva un’orchestra di circa cinquanta professori”, finisce gambe all’aria cadendo da un predellino malfermo per la felicità del pubblico presente. Incompleto un “II libretto”, del quale subito di seguito il manoscritto riporta le ‘storie’ Quando arrivarono a quella città che si chiamava Tricinopoli, Il trionfo del Re e Il figlio del Re prima di interrompersi con La seconda guerra Tricinopolitana, di cui resta il solo titolo.

Concepita evidentemente in corrispondenza con i capitoli della Storia del mago Doppio e della fata Giglia, la Suite ci è giunta in due stesure incomplete (figg. 5-6). Il primo brano, un Adagio (fig. 6), nel quale le parti del duo pianistico risultano segnate in modo inverso rispetto alla consuetudine (‘Prima’ la parte grave, ‘Seconda’ la parte acuta), è con ogni probabilità riferito a Storia I. Un’avventura del mago Doppio e delle tre mosche. La scarna melodia affidata alla parte superiore, la statica armonizzazione e i cupi tremoli al basso creano sin dalle battute iniziali un’atmosfera sospesa, quasi velata di inquietudine.
Note
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Una fata Giglia è benefica deuteragonista in Gloria di sole, fiaba di Virginia Olper Monis, pubblicata a fine Ottocento dall’editore Sandron nella collana “Per il mondo piccino”, dal tono incantato e lievemente malinconico, tanto diverso da quello buffo, quasi grottesco, che dà anima e colore alla prova narrativa del piccolo scrittore. ↩︎